Trattamento di fine rapporto destinato a un fondo di previdenza complementare: il lavoratore può svincolarlo?
Una volta deciso di destinare il Tfr al fondo di previdenza complementare il lavoratore non può prendere più nulla, oppure può cambiare idea e ricevere la liquidazione in caso di cessazione del rapporto?
Allo stato attuale, la scelta di destinare il Tfr al fondo pensione complementare è irrevocabile, anche per gli anni ed i rapporti di lavoro a venire: tuttavia, secondo le previsioni della legge di Bilancio 2018, in futuro sarà possibile non soltanto destinare esclusivamente una percentuale del Tfr alla previdenza integrativa, ma anche decidere, per il futuro, di lasciare il Tfr in azienda o al fondo di tesoreria dell’Inps (per le aziende con più di 50 dipendenti).
In pratica, anche se il Tfr destinato sinora a un eventuale fondo pensione complementare non può essere restituito, grazie alle nuove disposizioni il lavoratore potrà decidere, per il futuro, di non versare più nulla al fondo, ma di lasciare il trattamento in azienda, o presso il fondo di tesoreria dell’Inps, per percepire la liquidazione in caso di licenziamento.
In ogni caso, il lavoratore non è più obbligato a destinare il Tfr a un fondo di previdenza complementare al 100%, ma può versarvi solo una quota.
Non dimentichiamo, poi, che in situazioni particolari il lavoratore può ottenere delle anticipazioni del Tfr.
Ma procediamo per ordine e facciamo un breve punto della situazione.
Destinazione del Tfr
Il lavoratore, ad oggi, ha tre scelte riguardo alla destinazione della sua liquidazione:
• mantenerla in azienda (lo può fare solo se l’impresa ha meno di 50 addetti, in caso contrario il datore di lavoro è obbligato a conferire il TFR al fondo di tesoreria dell’Inps);
• destinarla ad un fondo di previdenza complementare da lui scelto;
• domandare la liquidazione del Tfr in busta paga.
Se decide di destinare la quota di Tfr al fondo di previdenza complementare, il dipendente è costretto a versare tutta la liquidazione maturata nel fondo: potrà ricevere il trattamento solo al raggiungimento dei requisiti per la pensione.
Dal 2017, però, grazie alla Legge sulla concorrenza, se il contratto collettivo prevede una minore percentuale di Tfr da destinare al fondo, il dipendente non è più privato completamente della liquidità, alla cessazione del rapporto.
Se l’accordo collettivo non prevede niente, invece, resta destinato al fondo il 100% del Tfr.
A queste previsioni si aggiungono le nuove disposizioni della legge di Bilancio 2018, che consentono al lavoratore di cambiare idea e non versare più nulla al fondo di previdenza complementare, oppure di versare solo una percentuale del trattamento: quanto sinora versato, però, non può essere restituito.
Queste novità potrebbero sembrare controproducenti per la previdenza complementare, ma in realtà incoraggiano l’adesione a questa forma di previdenza, evitando di mettere il lavoratore davanti a una scelta irrevocabile della quale potrebbe pentirsi.
Diritto al Tfr in caso di licenziamento
La normativa attuale prevede comunque la possibilità di ottenere il Tfr destinato al fondo in caso di licenziamento: la cifra liquidata, tuttavia, non può superare il 50% di quanto accantonato nel fondo, se la disoccupazione ha una durata da 12 a 48 mesi; solo se il periodo di disoccupazione dura oltre 48 mesi, il riscatto può essere pari al 100% della liquidazione accantonata.
Anticipazioni del Tfr
Oltre alla disoccupazione, vi sono altri casi in cui è possibile ottenere la liquidazione conferita al fondo, sia tramite riscatto che con anticipazioni:
• se il lavoratore deve sostenere spese sanitarie per sé, per il coniuge e per i figli, a seguito di gravi situazioni o a terapie ed interventi straordinari, può chiedere un’anticipazione fino al 75% di quanto maturato nel fondo;
• se il lavoratore deve acquistare o ristrutturare la prima casa, per sé o per i figli, può ottenere fino al 75% della posizione maturata, dopo 8 anni d’iscrizione al fondo;
• se il lavoratore ha ulteriori esigenze, può richiedere l’anticipo dopo otto anni di adesione, e fino al 30% di quanto maturato;
• i fondi possono inoltre prevedere anticipazioni per la fruizione di congedi formativi.
Riscatto del Tfr
Il lavoratore, inoltre, può riscattare la sua posizione, sia parzialmente che totalmente, in queste ipotesi:
• in seguito a procedure di mobilità;
• nell’ipotesi di cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria (CIG o CIGS), se a zero ore, e della durata di almeno 12 mesi.
Rendita integrativa anticipata
Non dimentichiamo, infine, la possibilità di ottenere la rendita integrativa anticipata. La pensione integrativa è una prestazione che si affianca alla pensione principale (liquidata dal sistema previdenziale obbligatorio): nella generalità dei casi si ha diritto a questa prestazione nel momento in cui maturano i requisiti di accesso alla pensione principale, se si possiedono un minimo di 5 anni di contributi versati alla previdenza complementare.
Se, però, l’attività lavorativa termina e l’interessato resta disoccupato per un periodo di tempo superiore a 48 mesi, la pensione complementare può essere erogata, su richiesta dell’aderente, con un anticipo massimo di 5 anni rispetto ai requisiti per l’accesso alla pensione ordinaria.
Grazie alla nuova normativa, non si dovranno più attendere 48 mesi, ma la pensione potrà essere ottenuta dopo 24 mesi di inoccupazione. Per di più, sarà possibile un anticipo massimo di 10 anni rispetto ai requisiti per l’accesso alla pensione ordinaria, nel caso in cui il regolamento del fondo previdenziale lo preveda.
Allo stato attuale, la scelta di destinare il Tfr al fondo pensione complementare è irrevocabile, anche per gli anni ed i rapporti di lavoro a venire: tuttavia, secondo le previsioni della legge di Bilancio 2018, in futuro sarà possibile non soltanto destinare esclusivamente una percentuale del Tfr alla previdenza integrativa, ma anche decidere, per il futuro, di lasciare il Tfr in azienda o al fondo di tesoreria dell’Inps (per le aziende con più di 50 dipendenti).
In pratica, anche se il Tfr destinato sinora a un eventuale fondo pensione complementare non può essere restituito, grazie alle nuove disposizioni il lavoratore potrà decidere, per il futuro, di non versare più nulla al fondo, ma di lasciare il trattamento in azienda, o presso il fondo di tesoreria dell’Inps, per percepire la liquidazione in caso di licenziamento.
In ogni caso, il lavoratore non è più obbligato a destinare il Tfr a un fondo di previdenza complementare al 100%, ma può versarvi solo una quota.
Non dimentichiamo, poi, che in situazioni particolari il lavoratore può ottenere delle anticipazioni del Tfr.
Ma procediamo per ordine e facciamo un breve punto della situazione.
Destinazione del Tfr
Il lavoratore, ad oggi, ha tre scelte riguardo alla destinazione della sua liquidazione:
• mantenerla in azienda (lo può fare solo se l’impresa ha meno di 50 addetti, in caso contrario il datore di lavoro è obbligato a conferire il TFR al fondo di tesoreria dell’Inps);
• destinarla ad un fondo di previdenza complementare da lui scelto;
• domandare la liquidazione del Tfr in busta paga.
Se decide di destinare la quota di Tfr al fondo di previdenza complementare, il dipendente è costretto a versare tutta la liquidazione maturata nel fondo: potrà ricevere il trattamento solo al raggiungimento dei requisiti per la pensione.
Dal 2017, però, grazie alla Legge sulla concorrenza, se il contratto collettivo prevede una minore percentuale di Tfr da destinare al fondo, il dipendente non è più privato completamente della liquidità, alla cessazione del rapporto.
Se l’accordo collettivo non prevede niente, invece, resta destinato al fondo il 100% del Tfr.
A queste previsioni si aggiungono le nuove disposizioni della legge di Bilancio 2018, che consentono al lavoratore di cambiare idea e non versare più nulla al fondo di previdenza complementare, oppure di versare solo una percentuale del trattamento: quanto sinora versato, però, non può essere restituito.
Queste novità potrebbero sembrare controproducenti per la previdenza complementare, ma in realtà incoraggiano l’adesione a questa forma di previdenza, evitando di mettere il lavoratore davanti a una scelta irrevocabile della quale potrebbe pentirsi.
Diritto al Tfr in caso di licenziamento
La normativa attuale prevede comunque la possibilità di ottenere il Tfr destinato al fondo in caso di licenziamento: la cifra liquidata, tuttavia, non può superare il 50% di quanto accantonato nel fondo, se la disoccupazione ha una durata da 12 a 48 mesi; solo se il periodo di disoccupazione dura oltre 48 mesi, il riscatto può essere pari al 100% della liquidazione accantonata.
Anticipazioni del Tfr
Oltre alla disoccupazione, vi sono altri casi in cui è possibile ottenere la liquidazione conferita al fondo, sia tramite riscatto che con anticipazioni:
• se il lavoratore deve sostenere spese sanitarie per sé, per il coniuge e per i figli, a seguito di gravi situazioni o a terapie ed interventi straordinari, può chiedere un’anticipazione fino al 75% di quanto maturato nel fondo;
• se il lavoratore deve acquistare o ristrutturare la prima casa, per sé o per i figli, può ottenere fino al 75% della posizione maturata, dopo 8 anni d’iscrizione al fondo;
• se il lavoratore ha ulteriori esigenze, può richiedere l’anticipo dopo otto anni di adesione, e fino al 30% di quanto maturato;
• i fondi possono inoltre prevedere anticipazioni per la fruizione di congedi formativi.
Riscatto del Tfr
Il lavoratore, inoltre, può riscattare la sua posizione, sia parzialmente che totalmente, in queste ipotesi:
• in seguito a procedure di mobilità;
• nell’ipotesi di cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria (CIG o CIGS), se a zero ore, e della durata di almeno 12 mesi.
Rendita integrativa anticipata
Non dimentichiamo, infine, la possibilità di ottenere la rendita integrativa anticipata. La pensione integrativa è una prestazione che si affianca alla pensione principale (liquidata dal sistema previdenziale obbligatorio): nella generalità dei casi si ha diritto a questa prestazione nel momento in cui maturano i requisiti di accesso alla pensione principale, se si possiedono un minimo di 5 anni di contributi versati alla previdenza complementare.
Se, però, l’attività lavorativa termina e l’interessato resta disoccupato per un periodo di tempo superiore a 48 mesi, la pensione complementare può essere erogata, su richiesta dell’aderente, con un anticipo massimo di 5 anni rispetto ai requisiti per l’accesso alla pensione ordinaria.
Grazie alla nuova normativa, non si dovranno più attendere 48 mesi, ma la pensione potrà essere ottenuta dopo 24 mesi di inoccupazione. Per di più, sarà possibile un anticipo massimo di 10 anni rispetto ai requisiti per l’accesso alla pensione ordinaria, nel caso in cui il regolamento del fondo previdenziale lo preveda.